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Climate change, rischia anche il vino

by Unione Coltivatori Italiani
Marzo 18, 2023
in Agricoltura, Ambiente, Europa, Made in Italy, Notizie, Notizie in primo piano
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“La nostra ricchezza di vitigni autoctoni tardivi, in particolare a bacca rossa, ci permetterà di fare fronte al cambiamento climatico, tanto da divenire una opportunità”. Parole di Luigi Moio, professore di enologia all’Università di Napoli, al Merano WineFestival in occasione della tavola rotonda dedicata al futuro del vino in relazione al climate change.

Abbiamo numerosi vitigni storici che negli anni si sono adattati perfettamente ai vari contesti pedoclimatici molto differenziati per la conformazione della nostra Penisola, che rappresentano già la risposta naturale a questa situazione. Su di essi va focalizzata la ricerca viticola ed enologica per migliorare ulteriormente la qualità dei vini, che spesso è stata particolarmente elevata proprio in annate calde. 

La nostra enologia, basata su centinaia di vitigni ci avvantaggia rispetto alla Francia, ma anche ai Paesi nuovi produttori come l’Australia, l’America Latina e la California, che hanno produzioni improntate su una decina di varietà internazionali. Il clima fluttua da sempre, ma i vitigni precoci sono a rischio. C’è preoccupazione per la tropicalizzazione del clima, che ci espone a eventi meteorologici estremi. Fare il vino è facile, farlo buono è abbastanza difficile, fare grandi vini è molto difficile.

Dalla Sicilia alle Alpi sono oltre 150 i vitigni, come per esempio Nero d’Avola, Gaglioppo, Aglianico, Montepulciano, Sangiovese, Nebbiolo e Lagrain, tra i rossi, ma numerosi sono anche i bianchi, che nei loro contesti pedoclimatici potranno ancora produrre vini di terroir.

Gli strumenti per mitigare il cambiamento climatico in vitienologia esistono e sono fondati su conoscenze scientifiche e anche sulla sapienza dei viticoltori. “Dovremo riappropriarci di tecniche e modalità di coltivazione che un tempo erano praticate – secondo Matilde Poggi, presidente della Federazione Vignaioli indipendenti – Dal recupero di forme di allevamento come la pergola, che protegge i grappoli dall’insolazione eccessiva, a una gestione del terreno che preservi la vite da stress idrici. Dobbiamo immaginare una viticoltura sostenibile a tutto tondo, anche dal punto di vista della mitigazione del cambiamento climatico”.

Gli scenari proposti da numerosi studi, tuttavia, sono poco rassicuranti. Ne è un esempio quello del climatologo Lee Hannah di Conservation International, che ipotizza che le regioni vinicole più importanti del mondo, dal Cile alla Toscana, dalla Borgogna all’Australia vedranno diminuire le loro aree coltivabili dal 25% al 73% entro il 2050, costringendo i viticoltori a piantare nuovi vigneti a latitudini più alte o altitudini più elevate, eliminando le specie vegetali e animali locali. 

Una prospettiva che comporta un impatto notevole quindi e non solo dal punto di vista economico. “Purtroppo tra gli scenari ipotizzati si sta verificando il peggiore – ha spiegato Georg Kaser, climatologo dell’Università di Innsbruck – Per riparare e mitigare gli effetti del climate change abbiamo una finestra di soli 11 anni. Sono pochissimi e bisogna accelerare le contromisure ed essere coscienti che se non si cambieranno le politiche a livello mondiale e al contempo le nostre abitudini, sarà il clima a cambiarle drammaticamente”.

Per quanto riguarda coltivazione della vite e qualità del vino basta un aumento di temperatura di 1,5 gradi a provocare conseguenze gravi. E lo sanno bene i francesi che da tempo si stanno dando da fare per trovare delle soluzioni. “In Francia per esempio – ha affermato Andrea Gori, sommelier e giornalista – sono pronti a fare lo Champagne con vitigni differenti dagli attuali Chardonnay, Pinot noir e Meunier e per questo stanno sperimentando le performance di vitigni ammessi e non più coltivati, ma più adatti al riscaldamento del clima, come per esempio il Pinot bianco e il Pinot grigio. Al contempo stanno piantando e acquistando vigneti in Cornovaglia e in Galles”. Dunque si muovono su un doppio binario: il mantenimento del terroir cercando, pur con diverse varietà, di continuare a fare “uno Champagne che sappia di Champagne”, e la ricerca di un altro terroir con caratteristiche adeguate a dare un vino analogo

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