L’annata 2025 è una delle più difficili per la coricoltura nostrana per via della cascola precoce, che ormai da anni interessa gli arenili produttivi di Campania e Piemonte. La produzione attesa ad Avellino non supererà le 4.000 tonnellate, con un calo medio del 50% e punte fino all’80% in molte aziende. Il danno stimato per la sola provincia irpina ammonta a quasi 10 milioni di euro, mentre a livello regionale le perdite raggiungono i 26,4 milioni.

Il problema della cascola
La cascola precoce non è un episodio isolato, ma la spia di una fragilità strutturale del settore, aggravata da cambiamenti climatici, parassiti come la cimice asiatica e squilibri nutrizionali.
La gestione in Campania
In Campania si sta pensando all’attivazione di un tavolo tecnico permanente con organizzazioni agricole e ordini professionali ed all’inclusione del comparto nocciole e castagne nell’Azione “A” dell’intervento SRG 07 CSR Campania 2023-2027, con risorse dedicate.
La provincia di Avellino, con circa 11.700 ettari coltivati a nocciolo e 7.900 aziende coinvolte, rappresenta oltre il 10% della superficie corilicola nazionale. Un patrimonio che senza interventi urgenti rischia di vedere compromessa la propria tenuta economica e sociale, in un contesto internazionale sempre più competitivo.
Purtroppo manca a tutt’oggi, dopo diversi anni che si presenta massiccia, una precisa individuazione dei fattori biotici e abiotici che scatenano la cascola precoce, un ruolo fondamentale è svolto dai cambiamenti climatici ma tutti concordano sul fatto che non siano l’unica causa.
La gravità della situazione impone una sinergia a livello nazionale e internazionale tra i migliori centri di ricerca per individuare il ruolo relativo svolto dalle diverse concause e mettere a punto soluzioni efficaci, facendo ricorso a tutti gli strumenti tecnologici che la moderna scienza mette a disposizione compresi quelli genetici: sicuramente l’evoluzione varietale e il miglioramento genetico, anche attraverso le TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), giocheranno un ruolo chiave nel futuro della nostra corilicoltura.
Le problematiche in Piemonte
Anche la situazione dei noccioleti piemontesi è drammatica; siamo di fronte ad un calo generalizzato ma in alcune zone i cali produttivi superano il settanta per cento. Le zone più colpite sono quelle di Alessandria e Ovada. In sofferenza i noccioleti sulle colline della provincia di Cuneo mentre la situazione è migliore nella pianura saluzzese. E’ allo studio un piano straordinario di sostegno economico alle imprese agricole danneggiate, il rafforzamento della ricerca sulle problematiche fitosanitarie e climatiche e un coordinamento interregionale – con Lazio e Campania.
In Piemonte ci sono 28.000 ettari di nocciolo: 6.200 nell’astigiano, 3.900 in provincia di Alessandria e 16.500 in provincia di Cuneo. Dalle prime ricerche è emerso che sono diverse le componenti che incidono sulla produzione: tipo di terreno, ambiente, irrigazione e presenza di insetti aumentano la possibilità della cascola. Senza dimenticare che l’aumento vertiginoso e prolungato delle alte temperature può incidere sulla produzione. Nel progetto di ricerca che comprende anche studi di miglioramento genetico è coinvolta anche l’Università di Torino.

Il tema dei dazi americani al contrario
E c’è un altro pericolo. Dai dati 2024 relativi alla frutta a guscio, emerge che l’UE ha importato dagli Stati Uniti merci per 2,36 miliardi di euro, pari a 477,8 milioni di kg, a fronte di esportazioni verso gli USA per soli 19,3 milioni di euro: un disavanzo complessivo di circa 2,34 miliardi di euro. L’Italia è tra i Paesi più esposti: ha importato frutta a guscio dagli Stati Uniti per 400,1 milioni di euro (88,6 milioni di kg) ed esportato per 9,4 milioni, con un deficit di 390,7 milioni. Germania, Spagna e Italia da sole assorbono quasi due terzi del valore importato dall’UE; la quota italiana pesa per circa il 17 per cento del totale comunitario.
Alla luce di questo quadro, l’ipotesi di azzeramento dei dazi e di “accesso preferenziale” per la frutta a guscio statunitense sarebbe dannosa come non mai per i produttori italiani, già colpiti da shock produttivi e da una pressione competitiva straordinaria.