Torna in positivo il saldo della bilancia commerciale dell’olio made in Italy. Secondo i dati Istat elaborati da Sol2Expo in occasione della Giornata Mondiale dell’Olivo (celebrata lo scorso 26 novembre), tra gennaio e agosto 2024 gli olii di oliva italiani hanno registrato vendite fuori confine per oltre 2 miliardi di euro, facendo registrare una crescita a valore del 59% sul pari periodo 2023. Un balzo, sospinto anche dall’aumento dei listini, ha riportato dopo 4 anni in positivo il saldo delle esportazioni (a +5,2 milioni di euro) e che rappresenta una buona notizia per il comparto tricolore alle prese con due campagne olearie consecutive particolarmente leggere.
Al netto della dinamica inflattiva, l’analisi di Sol2Expo rileva una crescita del 5,4% anche sul fronte dei volumi, trainata dai mercati extra-europei (+9,6% il risultato a volume dei primi 8 mesi 2024) – in particolare Usa (+9,6%), Giappone (+6,1%) e Canada (+12,9%) – ma anche dalla Germania, secondo partner commerciale tricolore (a +17,9%). A fare da ambasciatore, l’olio extravergine di oliva (“EU Cat.1”), prodotto simbolo della dieta mediterranea e della qualità della cucina made in Italy, responsabile per circa l’85% delle vendite estere tra gennaio e agosto di quest’anno (supera gli 1,7 miliardi il consuntivo degli 8 mesi) con un surplus commerciale di quasi 107 milioni di euro. Secondo i dati del Masaf, più del 70% dei 1,1 milioni di ettari dell’olivicoltura italiana è infatti situata in aree di collina o di montagna, dove svolge un ruolo importantissimo non solo in termini paesaggistici e culturali, ma anche di prevenzione del dissesto idrogeologico.
Con una storia millenaria e un’adattabilità senza pari, l’olivo è coltivato su oltre 11 milioni di ettari nel mondo, con una presenza capillare in tutti i continenti: in ogni versante del Mediterraneo, dal profondo nord della Columbia Britannica in Canada fino al profondo sud della Valle di Azapa in Cile, in Angola, Mozambico, e in Etiopia sul suolo africano, in India, Pakistan e Uzbekistan per l’Asia, e in Nuova Zelanda per il Continente Australe. È particolarmente plastico e adattabile al cambiamento climatico, ed è inoltre la coltura agricola più ecosostenibile al mondo, l’unica che assorbe anidride carbonica anziché emetterla (“sequestra” fino a sei volte la quota di CO2 emessa).