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Dazi di Trump al via, le opportunità nascoste per il made in Italy

Analisi macroeconomica del momento attuale

by Andrea Martire
Aprile 3, 2025
in Agricoltura, Made in Italy
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Con uno show teatrale il presidente Trump ha dato il via libera all’applicazione dei dazi doganali sulle importazioni. L’Europa si è trovata dunque con un pericoloso 20% in più applicato sul prezzo dei beni esportati verso i 50 Stati del Paese stelle e strisce.

Trump si è presentato come la risposta dell’America

Dazi, ostacolo a relazioni internazionali serene

La storia del commercio mondiale è ricca di aneddoti e di tentativi di rimuovere gli ostacoli al libero commercio mondiale, nella consapevolezza che il libero transito delle merci porta benefici sia ai venditori che ai compratori. Porre dei limiti comporta inevitabilmente impoverire di contenuti le relazioni tra Stati ed esporsi a pesanti ripercussioni sul quadro macroeconomico, con impatto diretto sul tasso di occupazione e sulla fiscalità.

Perchè il 20%

Non appare nemmeno chiaro come l’amministrazione del 47esimo inquilino della Casa Bianca abbia calcolato il valore applicato (ogni paese ha un dazio taylor made, “personalizzato”), perchè il criterio utilizzato sembra essere l’aver spalmato i (presunti) dazi subiti dagli USA dividendo il surplus commerciale di ogni paese nei confronti di Washington (vale a dire, quanto esportano negli Usa meno quello che importano dagli Usa) per il totale delle esportazioni. Il risultato identifica la tariffa applicata agli Usa. Quella che, a dire di Trump, giustifica l’imposizione di dazi da parte del paese a stelle e strisce. Secondo il bizzarro calcolo, l’Europa impone il 39% di dazi alle merci yankee, e per questo è destinataria di una misura tariffaria pari almeno alla metà, il famoso 20%.

Se questo è il processo che ci ha portato fin qui, possiamo dire che è arbitrario e frutto di un posizionamento politico molto preciso, non solo isolazionista ma protezionista al massimo. Trump sta rinnegando gli ultimi 80 anni di politiche commerciali del WTO e si posiziona più a destra dello stesso Reagan, falco degli anni ’80. Siamo oltre la teoria dei cicli economici di Schumpeter, è probabile che una crisi mondiale ci sarà ma stavolta non sarà provocata dal capitalismo ma dall’intervento umano.

Dazi, Trump non è il primo

Qualcosa di simile è già successo, anche se in un’epoca lontana. Esattamente nel 1930, in conseguenza ed in risposta alla Grande Depressione del ’29, il presidente Hoover avallò il famoso “Smoot-Hawley Tariff Act”, che portò al 60% i dazi su oltre 20 mila prodotti stranieri, in alcuni casi quadruplicandoli. Anche in questo caso l’intento era protezionistico, ma andò male. Si inasprirono le relazioni per via dei vari nazionalismi, si inizò una pericolosa guerra commerciale con Francia, Germania, l’impero britannico e anche l’Italia. Oggi avremmo le stesse dinamiche, ma con la Cina e l’India, la Russia putiniana ed i Brics, che avrebbero così un’insperata crescita, andando a fortificare anche il loro posizionamento internazionale, già ostile agli Usa.

Le conseguenze dello “Smoot-Hawley Tariff Act” furono invero disastrose. Nel giro di tre anni le importazioni degli Stati Uniti crollano del 66%, mentre le esportazioni si inabissano del 61%, insieme al commercio mondiale. Il tasso di disoccupazione triplicò dall’8% al 25%. Non ci fu nessuna “nuova era di prosperità”, anzi Franklin Delano Roosvelt dovette ritirare il provvediamento in fretta, non appena eletto nel 1934. Il mondo è cambiato ma le dinamiche nelle relazioni non più di tanto, perchè sono basate su numeri e cifre. Non andò meglio nel 2002 quando George W. Bush pose dazi per proteggere l’acciaio americano, salvo tornare sui propri passi dopo 18 mesi perchè la risposta della Ue fu devastante.

The Donald vuole dare l’idea che è lui a dare le carte nel mondo

Dazi e made in Italy, un’opportunità insperata?

Non è noto quanto dureranno i dazi di Trump nè quali saranno i numeri tra 6 o 12 mesi. Ogni restrizione al commercio globale si traduce oggi in un fatto politico e le masse sono estremamente sensibili ed informate.

Il made in italy dovrebbe approfittare del periodo buio per investire decisamente sull’Asia, il mercato globale più grande del mondo. Nuove partnership con il coinvolgimento delle istituzioni (sul modello francese) e l’apertura di sbocchi commerciali finora sottostimati possono essere l’obiettivo cui guardare con decisione fin da subito. Occorre creare anche nuove allenanze per poter puntare ai segmenti più alti dei mercati orientali, essendo il made in Italy un comparto trasversale dall’alto valore aggiunto.

In più, la situazione che viene da oltre Atlantico potrebbe davvero indurre i litiganti europei a cercare una convergenza politica ed istituzionale più profonda e verticale, per andare uniti verso nuovi orizzonti.

“In the middle of difficulty, lies opportunity”, parola di Einstein.

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